Viaggio e ricordi, queste sono le parole chiave per descrivere la mostra fotografica “Si combatteva qui! 1940-1945” di Alessio Franconi, in esposizione presso Le gallerie di Trento con il patrocinio della Commissione Europea, del Club Alpino Italiano, dell’Associazione Nazionale Alpini e di ESN Italia. La mostra ripercorre gli anni della Seconda Guerra Mondiale, proseguendo il lavoro della precedente rassegna dedicata alla Grande Guerra. Abbiamo avuto il piacere di incontrare Alessio per una breve intervista.

Ciao Alessio, grazie per aver accettato di fare quest’intervista. In primis vorrei che ci parlassi un po’ di te, chi sei?

Ciao, grazie a voi per l’interesse verso il progetto. Nella vita ho cominciato come avvocato ma, di pari passo alla vita forense, ho pian piano portato avanti la mia passione per la fotografia. Considero le due cose come due vasi comunicanti, spesso nella fotografia ho quella percezione e conoscenza di trattati e confini che normalmente sfugge agli altri fotografi che non hanno la stessa formazione.

Collegandoci a questo, com’è è nata la  tua passione per la fotografia? 

La passione per la fotografia  l’ho avuta da sempre, sin da quando ero piccolo. Mio nonno, per ragioni di guerra e poi di lavoro, aveva girato praticamente tutto il mondo, mi mostrava fotografie o guardavamo insieme National Geographic, e questo ha fatto crescere la mia voglia di esplorare . Ho poi sviluppato questa passione a livello personale per anni, finché ad un certo punto ho pensato ci fosse materiale sufficiente per realizzare qualcosa di più.

Esiste un collegamento tra la fotografia e la vita in ESN? Come sono entrate in contatto le due passioni ? 

Sono entrato a far parte di ESN ancor prima di fare uno stage all’estero, ero membro di ESN Milano Statale e negli anni avevo accolto parecchi ragazzi internazionali,  conoscendo amici un po’ da tutte le parti del mondo. Una delle mie prime mostre fotografiche riguardava proprio la prospettiva degli Erasmus su Milano e sul loro luogo d’origine. Il collegamento tra gli Erasmus e la mia esperienza fotografica sui campi di battaglia è nato invece per caso, ci siamo ritrovati ad andare con alcuni amici in montagna, in quei luoghi dove tanti giovani si erano battuti, ed è venuto naturale pensare alla differenza tra quelle generazioni e noi stessi, notare quanto fosse diversamente percepita l’Europa rispetto al momento attuale, in cui ci trovavamo insieme per un progetto di studio. Lì è nata la connessione tra questa ricerca storica e il progetto Erasmus nel vivo.

Com’è è nata la seconda mostra, è stata una continuazione della prima o i due progetti sono nati insieme?

La precedente esposizione sulla Prima Guerra Mondiale ha avuto particolare successo, mi ha permesso di pubblicare un libro presso la casa editrice Hoepli, e mi ha stimolato a proseguire la ricerca e a ripercorrere le Alpi per questa seconda mostra. Tra le due esposizioni cambia la tecnica fotografica: la prima mostra l’ho fatta in bianco e nero, mentre per questa seconda ho utilizzato il colore, per distinguerle nettamente l’una dall’altra ma anche per cercare di far capire la contemporaneità dei luoghi fotografati. Non è qualcosa di fermo a 80 anni fa, è attuale, i campi di battaglia si ritrovano ancora oggi salendo in montagna.

Cosa significa recarsi in luoghi tanto impervi per lavoro? Avevi una guida?

Dietro una missione fotografica ci sono mediamente sei mesi di ricerca, poi ovviamente dipende dai siti. Alcuni sono più conosciuti, altri meno, c’è da informarsi sul dato storico per poi tradurlo in una postazione da fotografare. Può essere che ci sia un aiuto locale, anche se non sempre, diciamo che quando mi muovo ho il supporto informativo degli storici locali. Le spedizioni per la Prima Guerra Mondiale le ho fatte nelle zone più a bassa quota, mi sono recato anche con amici Erasmus che avessero familiarità con la montagna, mentre la Seconda Guerra Mondiale, per ragioni di tempo, l’ho fatta quasi completamente in solitaria.

Hai un ricordo particolarmente emozionante e forte legato alle tue spedizioni, un’emozione che ti piacerebbe condividere con noi?

Quello che restituisce un campo di battaglia spesso e volentieri è la pelle d’oca, perché arrivi in luoghi che sono nel mezzo del nulla, dove trovi ancora le ossa dei caduti, pezzi di bomba, in alcuni posti c’è un’atmosfera veramente spettrale. Ricordo particolarmente due momenti; il primo era in Polonia, al confine con l’Ucraina, con il mio amico archeologo, era inverno, praticamente buio, eravamo in questo campo e ad un certo punto si percepiva proprio un’atmosfera un po’ strana perché erano tutti cimiteri di guerra, un silenzio assoluto, ghiaccio da tutte le parti…è stato abbastanza impressionante. Oppure un’altra volta, l’ultima missione per la Prima Guerra Mondiale che abbia fatto, a 3000 metri e passa, ero lì che mi godevo la pace del ghiaccio tra i resti dei cannoni abbandonati e c’era questo mio amico alpinista che ad un certo punto mi dice “Alessio scendiamo?” Io quasi non capivo quale fretta avesse finché non mi ha detto “Sai, tutto attorno a noi ci sono ossa…”.

Guardando le tue foto si percepisce che esiste un forte legame tra passato e presente. Perché è così importante ricordare? C’è un elemento personale che ti ha ispirato nella ricerca sui campi di battaglia?

Si, la missione numero uno era partita dopo aver letto dei diari di famiglia, volevo provare a vedere con i miei occhi uno di quei posti che avevo solo immaginato. Sono arrivato lì e mi sono ritrovato in dei luoghi immutati, in cui tutto era rimasto come alla fine del conflitto...in più erano stati descritti con una tale dovizia di particolari da mio nonno che sono riuscito proprio a percorrere gli stessi sentieri, e ovviamente questo essere guidato dalle parole di qualcuno della tua famiglia che c’è passato prima di te fa impressione. È molto comune che i testimoni di quei momenti storici si dividano tra chi racconta e chi preferisce invece dimenticare.

Il viaggio è qualcosa di particolarmente affascinante, ancor più ora che veniamo da una pandemia. Secondo te ciò che abbiamo vissuto può condizionare i nostri futuri viaggi e il modo di vedere le cose?

Da un punto di vista personale, prendo il primo volo tra una ventina di giorni quindi non mi sto preoccupando più di tanto, però effettivamente ho osservato gli effetti psicologici che questo periodo sta avendo su molti amici che invece, ad un mese e mezzo dalla fine del confinamento, escono solo a fare la spesa e non pensano di tornare a viaggiare. Forse il fatto che io abbia studiato e approfondito storie così tragiche mi aiuta anche a relativizzare momenti come questi, e a vederli in una maniera più pragmatica. 

In ultimo, cosa consiglieresti ad una persona che vorrebbe intraprendere un percorso formativo e lavorativo simile al tuo? 

Consiglierei di portare avanti la propria passione con determinazione. I reportage fotografici richiedono una pianificazione estrema, bisogna pensare dove si vuole arrivare e come voler arrivare a quel risultato. Nel momento in cui si ha una buona organizzazione e fiducia nelle proprie capacità, si riesce ad avere quel qualcosa in più che ti permette di realizzare un reportage interessante. A me piace l’idea di aprirsi più strade, incito sempre ad utilizzare la creatività e ad essere multitasking, se fossi un fotografo e non avessi un’esperienza in ambito di giurisprudenza non parlerei né di Unione Europea, né di trattati, né di Schengen.

Ringraziamo ancora Alessio per la disponibilità e vi invitiamo, se e quando possibile, a visitare la mostra, che resterà in scena a Trento fino al 6 settembre 2020. 

 

Info e dettagli su:www.franconiphotos.eu

http://www.franconiphotos.eu/esposizioni/si-combatteva-qui-1940-1945/

http://www.museostorico.it/index.php/Mostre/Si-combatteva-qui!-Alpi-teatri-di-battaglie-1940-1945

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Paola P.