Ecco i vincitori della quarta edizione della borsa di studio di ESN Italia "Il Tuo Erasmus con ESN".

Vincono la borsa di studio da 500€:

  • Giulia Clarizia - Università degli Studi Roma Tre
  • Eugenio Tamassia - Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
  • Enrico Maria Mazzieri - Università degli Studi di Macerata
  • Francesca Piscione - Università degli Studi di Milano - Bicocca

Francesca Piscione - Università degli studi di Milano-Bicocca

Trent’anni son trascorsi

dal principio di questi percorsi.

L’Erasmus è nato allora

e la sua luce brilla ancora.

Di eventi ne son passati

dalla fondazione dei nostri antenati;

luminari di un’Europa unita

non solamente sulla carta cucita.

Era il millenovecento quarantotto

e l’idea di pace andava al trotto.

Una voce congiunta cantava a squarciagola

che nessuna persona sarebbe mai stata sola

ma avrebbe trovato conforto sincero

in una comunità, non un impero.

Un luogo unito ma colmo di singolarità,

di differenze partecipi, di gioie e libertà.

Confini galleggianti, ad ogni abbraccio aperti;

muri abbattuti e nuovi idiomi scoperti.

Ognuno col suo cuore

si riconciliava con stupore

con il fratello allontanato

dal conflitto attanagliato.

Con vini buoni, forse francesi

brindiamo ai nostri bei paesi

che hanno tentato in questi anni

di cacciar via guerre e tiranni.

Ma ogni bene ha un nero mare

o forse solo qualcosa da migliorare.

Salpano navi con gente vera

che cerca in Europa una chimera

o forse solo un focolare

per dimenticare il maestrale.

Quel caldo abbraccio dei lieti inizi

sembra svanire con economici indizi.

E quell’Europa generosa

si trova ad essere meno operosa.

Abbiamo forse timore

di un’altra lingua, un altro sapore?

Smontiamo il muro della paura:

siamo capaci di solidarietà pura.

Ce lo dicon la storia, la nostra cultura,

la voglia di unirci ad ogni creatura.

I venti cambiano direzione

ma l’Europa continua la sua missione:

cittadini liberi e consapevoli

di cosa essere fieri e di cosa colpevoli.

Non individui soli,

ma singole persone che spiccano in voli

su nuvole incerte ma di uno stesso cielo

di cui andiamo orgogliosi con un certo zelo.

Se volete dunque ascoltare

una giovane donna che ha ricominciato a studiare,

e che crede con fervore

ad un’Europa di grande splendore,

aprite gli occhi, cercate i bambini,

ascoltate i loro giochi, non sospendete con puntini.

Il loro futuro è nelle nostre mani

nell’apertura del domani.

Ancora di più dobbiamo unirci

trovare un respiro che possa istruirci

su come superare crisi e attacchi,

nuovi arrivi o fatti bislacchi.

La scuola, l’educazione, la musica e ogni arte

non dobbiamo mettere da parte.

Facciamole diventare il nostro punto di forza

e di questa comunità assaporeremo non solo la scorza.

E con questa mia timida proposta

vi ringrazio e abbandono la mia sosta.

Cerco di mettermi anch’io in gioco

e preparo il mio trasloco:

in terra iberica vado a studiare

e la mia anima vado ad ampliare.


Eugenio Tamassia - Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Ciascuno il salto ‘n vodo può timere

Scientifiche quaestion studio cotidie

D’Europa e del global non sono experto:

rimembro a lo congresso de le insidie

che’l capo fan di cenere coperto.

 

Mors praematura colse tanti iuveni

Tra ordigni frutto de l’human follia,

ma’l viaggio e lo studiar nei nostri geni

non puote ostacolar lo andare via.

 

“Rimembrate la vostra semenza:

fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e conoscenza”:

quel monito che’l savio rese acuti.

 

D’esperienze inestimabile tesoro,

autonoma gestion di propria alma,

nove culture e mondi ch’ora ignoro

nel turbine dei sensi perdo calma.

 

L’imago del partire ‘n mente affiora

Degli occhi i lumi vestono le gote,

pria di salir sull’apparecchio ancora

si ch’al redire son dolenti note.

 

Ostacolo del core son li affetti:

duo fratres, mater, pater di famiglia,

madonna dai bei crini riccioletti,

amici e altri lasciar…infarto piglia.

 

“E” d’esperienza o’l nom de la mia amata,

“ERRE” del ritorno post mutamenti,

“A” d’aventura mai do per scontata,

“ESSE” com’l sentir che bivi ha cento,

 

“EMME” del maturo ch’io sper verrò,

“U” com’unica volta che ho occasione,

“ESSE” del scoprire ciò ch’io trarrò,

acronimo per me di decisione.

 

Ciascuno il salto ‘n vodo può timere,

di ratio l’impotenza è ai più evidente,

paura, accidia e’l mesto son chimere,

che ‘n mal comuneaggrega tanta gente.

 

Centurie senza interrogar me stesso,

sondar, capir, studiar non sol dai libri,

seppur vita e magistri lo fan spesso,

bando comparve e ruppe gli equilibri.

 

Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende,

si prese me curiositas di mete,

che’l mio fantasticar non sol dipende

dal loco mio natio, ché ‘l globo è rete.

Ciascuno può temere il salto nel vuoto. Studio tutti i giorni materie scientifiche e non sono un esperto di questioni europee e globali. Ricordo però al Congresso degli scempi che hanno causato il lutto di numerose nazioni.

Una morte prematura ha colto numerosi giovani, anche a causa di strumenti frutto della pazzia degli umani; ma la nostra voglia di viaggiare e studiare elimina ogni ostacolo alla partenza per l’estero.

“Ricordate le vostre origini umane: non siete stati creati da Dio per vivere come animali, ma per ottenere la verità e la conoscenza”: il famoso avviso di Dante che rende tutti attenti.

Un tesoro di esperienze inestimabili, l’autonomia nella gestione della propria anima, nuove culture e mondi che ora non conosco…il turbinio di emozioni mi rende estasiato.

L’immagine della partenza affiora nella mente, le lacrime bagnano le guance, ancora prima di salire sull’aereo, così come al ritorno sarà ancora sofferenza.

Un ostacolo per il cuore sono gli affetti: i miei due fratelli, mia madre, mio padre, la mia ragazza dai ricci stupendi, gli amici e gli altri che devo lasciare…mi prenda un infarto.

“E” di esperienza e il nome della mia amata; “R” come il ritorno dopo essere cambiati completamente; “A” di avventura, una cosa che non do mai per scontata; “S” come sentiero che ha centinaia di bivi; “M” come maturo, ciò che spero di diventare; “U” come unica occasione; “S” come scoprire ciò che trarrò da questa esperienza: ERASMUS per me è acronimo sinonimo di decisione.

Ciascuno può temere il salto nel vuoto, l’impotenza della ragione di fronte a tali esperienze è evidente a tutti; la paura, la mancanza di voglia di agire e la tristezza sono “mali” comuni che aggregano tutti i ragazzi erasmus fuori casa.

Ho passato anni senza interrogarmi, studiando solo dai libri, nonostante la vita e i professori mi interroghino spesso…la comparsa del bando ha rotto tutta la routine.

Così come l’amare prende sede in un cuore nobile, così mi prese la curiosità di conoscere nuove mete, al punto che il mio fantasticare non dipende solo dalla realtà in cui vivo, perché il mondo è una rete che collega tutte le nazioni.


Enrico Maria Mazzieri - Università degli Studi di Macerata

James aveva vinto.

O meglio, il suo schieramento aveva vinto, e lui con loro. Mesi e mesi di campagna, comizi, incontri, fino a quella notte a cui tutto si rifaceva. Il popolo sovrano aveva votato, gli exit-poll parlavano chiaro, i cittadini britannici si erano espressi: aveva vinto il “leave”. Dall’indomani, tutto sarebbe stato diverso. Pioveva a Londra quella notte, ma non era una novità. I tacchi delle scarpe di James rimbombavano per tutta Kensington Road, deserta a quelle ore. Ad interrompere il ticchettio delle gocce, solo il rumore di qualche taxi. Il cielo iniziava ad imbiancarsi in lontananza, ma Londra dormiva ancora. All’alba tutto sarebbe stato diverso. James si strinse nel suo soprabito nero ed accelerò il passo. Era giugno ma il freddo non se n’era ancora andato dalla capitale: strinse la sua ventiquattrore e tirò dritto. James aveva vinto, non poteva crederci. Ripensò al suo passato, ai suoi inizi. Nonostante stesse ormai in politica da ormai parecchi anni, non si era mai davvero abituato all’idea di aver seguito le orme dei suoi ascendenti, che prima di lui avevano vestito il suo ruolo. Suo nonno, James, aveva partecipato al Congresso dell’Aja nel 1948; suo padre, sempre James, era membro del 1987, della Commissione Europea che avallò il progetto Erasmus. Il primo, illustre uomo di politica e di affari, era stato tra i padri fondatori, tra i primi a credere in questa utopica rete transnazionale che unisse i popoli sotto un’unica bandiera stellata a fondo blu, che abbattesse barriere economiche e culturali. Il secondo, avvocato e professore al King’s College, si era da subito appassionato sulle orme del padre, alla politica, e dopo un periodo d’impegno a livello nazionale, era entrato in Commissione Europea. In quell’intervallo, venne esaminato per la prima volta il tema del nuovo progetto Erasmus, per infondere nei giovani una coscienza europea sin dagli anni degli suoli, per incentivarli a viaggiare, ad abbattere le proprie paure e ad arricchire il proprio bagaglio accademico e personale, con quest’esperienza. James, il terzo per intenderci, aveva partecipato a questo progetto. Durante gli anni in cui aveva frequentato l’università di legge, era partito alla volta di Siviglia, in Spagna, dove aveva vissuto l’anno più incredibile della sua vita. Lì aveva conosciuto anche la sua attuale moglie, Dorothy, inglese come lui, erasmus come lui. Ma a James ora non interessava. Queste emozioni gli scivolano addosso, infrangendosi al suolo, in mille pezzi. Non gli importava più niente di quell’anno, che l’aveva segnato così nel profondo, erano solo ricordi sbiaditi; non gli importava più niente della tradizione europeista di suo padre e prima di suo nonno; non gli importava se, proprio durante quell’esperienza, aveva conosciuto la donna più importante della sua vita. L’Europa stava crollando sotto il peso di manovre finanziarie fuori portata, con le quali a suo parere gli Stati più potenti, invece di schierarsi per il bene comune si comportavano come soggetti di diritto privato e pensavano al loro tornaconto, ai loro fondi d’investimento in Lussemburgo, sotto il peso delle banche che dettavano legge a discapito dei cittadini e sotto il peso della crisi dei migranti, che stava portando alla deriva l’Unione verso una destinazione ignota. James non voleva questo. James era convinto che il Regno Unito sarebbe rinato e lo avrebbe fatto da solo, si era battuto per questo referendum e il “leave” aveva vinto. James aveva vinto. All’improvviso il telefono di James vibrò: era Farage, con il quale ultimamente aveva passato più tempo che con sua moglie. L’SMS era breve ma chiaro e conciso: “Oggi è l’Indipendece Day”, diceva. La bocca di James si inarcò, in un sorriso che assomigliava di più a una smorfia. Intanto era arrivato a casa, senza neanche rendersene conto. Salì i gradini di granito, arrivò alla porta ed appoggiò la mano sulla maniglia fredda. Un respiro ed entrò. Ad aspettarlo a quell’ora, sua moglie, in piedi, in vestaglia: una lacrima le rigava il viso. James fece per avanzare quando lei esordì “lo sai che se non fosse esistito ciò contro cui tu lotti, noi…”, “lo so” sentenziò lui, zittendola. Un bacio sulla guancia e proseguì, scuro in volto. Salì le scale con passo pesante, i gradini cigolavano, uno dopo l’altro. Entrò nella cameretta del figlio, neanche a dirlo, James. Stranamente, nonostante ormai l'alba stesse prorompendo attraverso le persiane, non stava dormendo. Con flebile voce disse “Papà, allora io quando farò l’università non potrò partire come sei partito tu…”. Un brivido gelido trafisse il cuore del padre che nel vederlo così abbattuto, disse: “Non lo so Jimmy, ma sta sicuro che se le cose vanno avanti così, questo sarà l’ultimo dei tuoi problemi”. Gli baciò la fronte “Ora dormi”. Ed uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle, avendo cura di non sbatterla. È vero infatti che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione non avrebbe determinato direttamente la fine della partecipazione di questo al progetto Erasmus, ma è anche vero che molte cose sarebbero cambiate. Entrò nel suo studio e si lasciò cadere sulla vecchia poltrona bordeaux, sprofondandovi.  Era sfinito. Non era più felice come prima, complice la stanchezza e l’inaspettata visione di sua moglie e suo figlio in quelle condizioni, che lo avevano tramortito. Rimase alcuni minuti nel silenzio più totale, seduto, inerte, fissando il vuoto. Lo sguardo vitreo. Poi, all’improvviso il telefono tornò a vibrare. James, aspettandosi l’ennesimo messaggio di congratulazioni, lo afferrò quasi con pigrizia, e rimase di sasso. Era Juan Carlos, il suo migliore amico di Siviglia, il suo compagno di avventure in Erasmus. Non lo sentiva da dieci anni. Aveva inviato una foto di loro due abbracciati, vent’anni prima, i visi sbarbati, i capelli incolti, le facce sorridenti. La didascalia recitava:” Ya no habrá más esto!”. D’ora in poi questo non ci sarà più. La pelle di James si accapponò, iniziarono a sgorgare fili di lacrime dai suoi occhi stanchi, gettò la testa all’indietro e rivisse in un solo istante quello che era stato l’anno più bello della sua vita, le facce delle amicizie di persone che aveva conosciuto gli vorticavano davanti in un turbine di razionalità, luoghi e monumenti di una delle città più belle del mondo, il suo primo bacio con Dorothy, la gente, le feste, le tradizioni, la cultura, la Feria. Ma quella foto non era niente di tutto ciò. Non era una festa, non era un paesaggio; era la quintessenza della semplicità: loro due, abbracciati, il tramonto andaluso alle loro spalle, le fronti rigate di sudore dopo la partita che avevano giocato. La libertà nei loro occhi. In quell’istante James si rese conto di cosa stava distruggendo, si rese conto che non di sola economia vive l’uomo, che senza un’unica coscienza collettiva la paura verso il diverso annebbia e poco a poco divide i popoli portandoli alla rovina. Ed era proprio quello per cui il progetto Erasmus, nel suo piccolo, lottava. Un’unica coscienza europea ed europeista. Le lacrime non si fermavano, James aveva capito. Il sogno si era infranto, l’Europa aveva perso, tutti avevano perso.

James aveva perso.


Giulia Clarizia - Università degli Studi Roma Tre

Pensieri notturni di una delegata al Congresso dell’Aia

 

Aia, 24 marzo 2017

h. 23:30

Non riesco a dormire, eppure dovrei. Domani dovrò avere la mente più lucida che mai. Domani dovrò far sapere all’Europa che non mi arrendo. È una bella trovata quella di far parlare i giovani in una sede così autorevole, quella del Consiglio d’Europa, per celebrare i trent’anni dalla nascita del progetto Erasmus. Suona quasi come una rivoluzione. In un’Europa che invecchia, si sceglie per un giorno di dare l’autorità ai giovani. Uno per delegazione, uno per ogni paese. E io, domani, per dieci minuti sarò l’Italia. Ho preparato decine di discorsi. Per esempio, potrei iniziare così: “Onorevoli colleghi, siamo riuniti oggi per trasformare l’Europa di ieri nell’Europa di domani. Il 25 marzo di sessant’anni fa, sei paesi firmavano i trattati di Roma e davano vita alla Comunità Economica Europea. Perseguivano la strada del nazionalismo, dell’integrazione per settori, con la speranza di raggiungere un giorno una comunità non solo economica, ma anche culturale e politica. Una comunità vissuta e sentita da cittadini fieri di definirsi europei…”.

Che te ne pare? Troppo pomposo? Forse non è corretto fare riferimento alla CEE in sede di Consiglio d’Europa, però, ecco, la ricorrenza di questa data è un’occasione troppo ghiotta per non inserirlo nel discorso. E poi secondo me quasi nessuno farà caso al fatto che la CEE era un’istituzione diversa dal Consiglio d’Europa, come oggi lo è l’Unione Europea. Anche perché, poi, questa differenza dove sta? È che di tutti quei paesi presenti nel 1948, alla fine solo in sei si sono lanciati per realizzare una comunità politica di fatto. Certo, oggi siamo in ventotto, ma io non credo si possa dire che questa comunità politica sia stata veramente raggiunta. Ecco, questo domani voglio proprio dirlo. Io lo so che il fatto di averla chiamata “Unione” Europea sembra una cosa bella ma in realtà è stato un passo indietro. Quando si è arrivati a Maastricht, nel ’91, e si è dovuto tirare le somme di quello che era stato raggiunto, unendo i pilastri economici, politici e giuridico-culturali, non è potuto chiamare comunità, perché politicamente l’obiettivo non era stato raggiunto. “Unione”, infatti, rimanda all’Unionismo, corrente politica portata avanti da chi è contrario a una cessione di sovranità nazionale a favore della sovranità europea. Io questo lo so, ma i “luminari” che domani saranno lì ad applaudire, se lo ricordano? Questa per me è la cosa più negativa che sia successa all’Europa dal ’48. Poi per carità, non è andato tutto male. Ci sono stati importanti tentativi di realizzare davvero un’Europa unita, e il fatto che progetti come l’Erasmus esistano e mi stiano dando l’occasione di esprimere i miei pensieri confusi è un gran traguardo. Gli anni ’80 sono stati importanti. Il primo decennio con un parlamento europeo eletto a suffragio universale diretto! E poi l’Atto Unico! Non c’è da sorprendersi che l’Erasmus sia nato in questi anni. C’era fermento, c’era la spinta per realizzarla davvero, questa unione culturale e politica. E poi è successo quello che è successo, da Maastricht a Lisbona, che si è portata dietro le salme del progetto fallito della Costituzione Europea.

No. Non potrò dire tutte queste cose domani. Non passerò i miei dieci minuti di gloria a parlare di quello che è fallito. Domani voglio parlare del futuro e di quello in cui credo: “Io sono una cittadina europea. Sono nata in Europa, e non voglio immaginare un mondo in cui potrei essere privata di questa identità.

Poter viaggiare liberamente, conoscere, studiare, lavorare, scegliere qual è il posto che nel nostro continente è più adatto alla nostra vita, è il più grande privilegio di cui gode la nostra generazione. C’è chi dice che siamo addormentati. Siamo abituati alla comodità, alla pace. È al sentimento europeo che dobbiamo il lusso di essere cresciuti nella pace e nella libertà, e dobbiamo esserne consapevoli per far crescere questa accogliente “Casa comune europea”, come direbbe Gorbachev.

Una volta una persona saggia mi ha detto che se l’Europa non si accenderà di una forte volontà politica dal basso, sarà condannata a ragionare per parametri. Quelli economici, numeri. Ebbene, noi non vogliamo essere la generazione dei numeri. Noi siamo la generazione Erasmus, quella della cultura. Quando questa generazione riuscirà davvero a guidare l’Europa, lo farà facendo tesoro di tutte le occasioni di scambio che ha avuto. Io ho fiducia che i ragazzi e le ragazze che saranno gli uomini e le donne di domani ricorderanno la loro casa a Barcellona, Parigi, Amsterdam; ricorderanno la loro casa di Europa. Allora non si parlerà più di clausole d’uscita o referendum in cui scegliere tra “leave” o “remain”. Semplicemente non si potrà più credere di poter smettere di essere europei, così come non si può negare di essere nati nella propria città d’origine. Concludo, colleghi delegati, con un appello. Dateci spazio e la generazione Erasmus porterà l’Europa ad essere la vera patria di tutti gli europei. Metterà da parte i numeri e i parametri. Semplicemente perché è cresciuta con dei valori che sono veramente europei. Dateci uno spazio concreto, non solo quello per delle parole su un foglio di carta e noi renderemo l’Europa autentica con le nostre idee piene di entusiasmo. Grazie!”.

Applausi. Altiero sarebbe fiero di me. In fondo, come lui, sogno gli Stati Uniti d’Europa.

Buonanotte.